Diversamente profughi

di Ferruccio Venanzio

29 marzo 2022

L’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe sta scatenando, come immediata conseguenza delle operazioni belliche, la fuga dalle zone di guerra e stiamo assistendo ad un esodo di proporzioni bibliche che ha raggiunto il suo apice nei primi giorni di marzo. Centinaia di migliaia di cittadini ucraini continuano ad uscire dai confini della loro patria riversandosi nelle nazioni confinanti per sfuggire al rischio concreto di morire o anche soltanto per cercare la sicurezza momentanea di una vita più tranquilla.

Le cifre sono impressionanti: al momento in cui sto scrivendo sono già più di tre milioni i profughi in uscita, con un’altissima maggioranza di donne e bambini (una media di 70.000 al giorno dal 24 febbraio), su una popolazione totale di quarantatré milioni. Molti maschi adulti hanno scelto di rimanere a combattere una guerra, probabilmente già persa in partenza, ma con l’orgoglio di resistere ad ogni costo all’avanzata delle truppe russe.

La nazione che sta sopportando l’urto maggiore di questa migrazione è certamente la Polonia che ora inizia ad avere difficoltà nella gestione di una moltitudine che oltrepassa il confine con ogni mezzo: treno, bus, pulmini, auto private stracariche, ma anche a piedi. Romania e Moldavia seguono a distanza nell’accoglienza di quasi mezzo milione di disperati. Perfino l’Ungheria del premier Orban, da sempre non troppo tenero con i flussi migratori provenienti dai Balcani, sta aprendo i suoi confini agli ucraini in fuga. Gran parte delle persone cercano di raggiungere parenti e conoscenti sparsi per tutta l’Europa. L’Italia ne ha già accolte circa 70.000 (un numero superiore a quello di tutti i migranti sbarcati sulle nostre coste nel 2021). Il confine con la Slovenia, a pochi chilometri da Trieste, è la porta principale d’ingresso nel nostro Paese.

Le popolazioni di tutto il continente si stanno mobilitando in una gara spontanea di solidarietà e per la prima volta sembra che anche la maggior parte dei Governi europei si trovi unita e solidale nell’accogliere questa straordinaria massa di persone affrontando un’emergenza che non ha precedenti e che si prolungherà per molto tempo.

Così non è stato finora nella gestione dei profughi che sbarcano sulle coste italiane, provenienti dall’Africa centro-settentrionale o che seguono la lunghissima via balcanica provenendo da paesi del vicino e Medio Oriente. Questi migranti sono nella stragrande maggioranza giovani uomini che affrontano, con coraggio e spinti dalla disperazione, viaggi lunghi e pericolosi. Anch’essi sfuggono da guerre o situazioni di instabilità, pericolo, persecuzioni, carestie, cercando un’occasione di vita migliore: le statistiche parlano di circa 66.700 persone sbarcate nel nostro Paese nel corso del 2021.

È facile notare l’enorme differenza numerica di questo esodo in confronto ai tre milioni sfollati in quasi un mese dall’Ucraina. Ciò nonostante, per anni il problema migratorio di queste persone extracomunitarie è stato oggetto continuo di polemiche, distinguo, rimbalzi di competenze, respingimenti e diritti negati. Profughi diversi, quindi, considerati e accolti in modi differenti, applicando differenti pesi e misure, contraddistinti in pratica come individui di serie A e di serie B.

Il motivo principale è certamente il timore istintivo per ciò che non si conosce: razza, colore della pelle, religione, culture, modi di vivere, abitudini molto lontane dal nostro mondo occidentale. Certo i cittadini ucraini fuggono in treno, a volte su auto di grossa cilindrata, autobus riscaldati, ma tutti stanno lasciando le loro case, il loro lavoro, con l’angoscia di aver visto le loro città distrutte e con la speranza di poter forse rientrare a guerra finita e a riprendersi ciò che hanno abbandonato.

Ci appaiono persone come noi, con tratti somatici molto simili ai nostri, cultura e religione non troppo lontane dalle nostre. Le città sottoposte a bombardamenti hanno architetture che ricordano tante altre città europee. Tanti ucraini vivono in Italia, molti italiani vivono in Ucraina. E la guerra la sentiamo vicina, nel cuore del nostro continente, tale da evocare ricordi terribili che credevamo dimenticati. Eppure l’accoglienza e la solidarietà dovrebbero essere uguali anche verso quelle persone che arrivano da molto più lontano e provenienti da condizioni di vita estreme. E soprattutto in numero enormemente inferiore e distribuito nel tempo, ciò che consente di poter programmare e intervenire con calma a risolvere i problemi.

Non sappiamo se e quando la guerra in Ucraina avrà termine, ma l’Europa certamente non sarà più la stessa, messa di fronte a problemi e responsabilità epocali. Responsabilità che passa purtroppo anche dalla fabbricazione e fornitura di armi a Governi ed eserciti di tutti i continenti e dall’aumento generale delle spese militari che la Nato vorrebbe a portare ad una media continentale del 2% del Pil per ogni paese membro. Anche l’Italia ha appena approvato un Ordine del Giorno alla Camera per iniziare ad incrementare tale spesa, che attualmente è del 1,4% del Pil (28 miliardi all’anno, 68 milioni al giorno!) e portarla a 38 miliardi.

Quante persone in difficoltà nel nostro Paese, immigrati compresi, potrebbero essere adeguatamente aiutate e sostenute economicamente usando anche solo una piccola parte di questa somma spropositata? Speriamo che questa guerra serva almeno a risvegliare finalmente le coscienze dei nostri governanti per consentire alle persone bisognose una vita più accettabile, prefigurando per i giovani di oggi un futuro migliore e pacifico.

Fonti statistiche: Ocha, Hdx, Ucraine Data Explorer, Ismu