Giustizia riparativa

di Ferruccio Venanzio

10 gennaio 2023

Nel corso di un recente incontro formativo organizzato dalla Comunità di San Martino al Campo si è parlato, tra altri argomenti, di Giustizia Riparativa, un concetto nuovo e rivoluzionario nell’ambito dell’attuale ordinamento giudiziario, forse ancora poco noto.

La Garante dei Detenuti per il Comune di Trieste dott.ssa Elisabetta Burla, ha innanzitutto presentato la complessa materia inerente la riforma carceraria promossa dalla giurista ed ex-Ministro della Giustizia Marta Cartabia che prevede importanti nuovi atti migliorativi sulla condizione e sui diritti dei detenuti. Sono seguiti gli interventi dell’avvocatessa e criminologa dott.ssa Consuelo Ubaldi che ha parlato della propria esperienza personale e della dott.ssa Ornella Favero, giornalista e direttrice della rivista “Ristretti Orizzonti” che si realizza nella Casa Circondariale di Padova, e infine abbiamo ascoltato la testimonianza di Lorenzo Sciacca, ex detenuto e ora coordinatore del Centro di Mediazione e Giustizia Riparativa di Padova.

L’argomento della Giustizia Riparativa è certamente rivoluzionario, complesso, delicato, ancora controverso, ma introduce un importante modello di giustizia “fondato essenzialmente sull’ascolto e sul riconoscimento dell’altro” [da un articolo di Marcello Bortolato, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze].

Un percorso di Giustizia Riparativa prevede l’incontro e il reciproco ascolto tra il responsabile di un reato e la vittima del reato stesso. Un incontro ovviamente basato sulla volontarietà delle parti e che prevede una rivalutazione del ruolo della vittima. Oltre lo Stato che punisce e il reo che viene punito, la vittima diventa co-protagonista in un percorso parallelo al processo giudiziario, favorito da una figura mediatrice esterna.

Nei casi in cui tale forma di giustizia è stata applicata si è dimostrato che tutti gli attori ottengono un beneficio. Il reo vede diminuire il senso di colpa, anche inconscio, che si porta dentro, la vittima può ritrovare una forma di pace interiore e ritornare essere semplicemente persona. Certo ci vuole una buona dose di coraggio da entrambe le parti: reo e vittima che si guardano negli occhi, che parlano delle loro esistenze prima del reato e del proprio possibile futuro.

Tale forma di giustizia permette una forma di riparazione che non si esaurisce con il risarcimento economico e prevede la mitigazione dello sterile sentimento di vendetta da parte della vittima e va al di là delle eventuali scuse del reo e del possibile conseguente perdono. Una delle prime domande, spesso senza risposta, che la vittima fa al reo è “Perché? e perché proprio a me?” Ciò introduce riflessioni sui motivi del reato, sulle sue ripercussioni anche sociali, sul momento e sul contesto nel quale è stato commesso.

Il caso emblematico di Giustizia Riparativa è senz’altro quello che ha visto protagoniste la figlia di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse il 9 maggio 1978 e una delle responsabili del rapimento e della detenzione dello statista, Adriana Faranda. Agnese Moro ha acconsentito ad incontrare l’ex-brigatista, che aveva ormai scontata la pena inflitta (dopo aver abbandonato l’organizzazione e dichiarato la propria dissociazione e pentimento per i fatti di cui si era resa responsabile) e impegnata nel suo percorso riparativo.

“L’importanza di introdurre una normativa in materia è stata espressa una prima volta nelle Linee programmatiche della Ministra Cartabia, che raccolgono e sintetizzano le molteplici indicazioni internazionali, vincolanti e di soft law: il tempo era ormai maturo per sviluppare e mettere a sistema le esperienze di giustizia riparativa, già presenti nell’ordinamento in forma sperimentale e che stavano mostrando esiti fecondi. Le più autorevoli fonti europee e internazionali (citiamo qui le tre più importanti: la Risoluzione ONU 12/2002, la Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 2018 e la Direttiva vittime UE 29/2012) ormai da tempo hanno stabilito principi di riferimento comuni e indicazioni concrete per sollecitare gli ordinamenti nazionali ad applicarli” [Marcello Bortolato].

Un percorso riparativo portato a termine e certificato con esito positivo potrebbe prevedere infine anche una forma di revisione della pena, ma l’applicazione concreta di questo nuovo modello di giustizia non sarà facile. Saranno necessari una capillare informazione, una disponibilità di fondi dedicati e un maggior impegno di tutte le figure che compongono il sistema giudiziario: avvocati, magistrati, giudici, educatori, psicologhi, nonché dei volontari e, soprattutto, che la “riforma Cartabia” venga confermata in sede governativa.