Il volontariato: alcune riflessioni
di Claudio Calandra
5 giugno 2023
Il termine volontariato nasce e si sviluppa in Inghilterra, dove designa un insieme di organizzazioni costituite con l’intento di perseguire finalità caritative (charitable, philantropy). In contesti nazionali, in cui è prevalente la religione cattolica e influenzati dal diritto romano, il volontariato assume connotati etici e morali per cui gode di una identificazione diversa da quella di cui gode il termine non-profit.
Preliminarmente è interessante un riferimento sociologico sui periodi della vita che maggiormente riguardano il volontariato.
Le età del volontariato
Due sono le età della vita che privilegiano l’avvicinamento e l’esperienza di volontariato: l’età giovanile e l’età anziana.
Il fenomeno sociologico è stato ampiamente approfondito. Per quanto riguarda l’età giovanile da un sondaggio, su circa 460 volontari giovani adulti è risultato che i giovani adulti cercano nel volontariato sia il desiderio di socializzare, che quello di acquisire competenze personali. Legata all’acquisizione di nuove competenze vi è l’opportunità di facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro, grazie all’arricchimento umano e professionale maturato tramite nuove esperienze. La letteratura ha identificato quattro tipi di motivazioni al volontariato giovanile: la “motivazione valoriale con interesse eminentemente sociale” (statisticamente interessa il 39% dei casi esaminati), la “motivazione professionale carrierista” con la finalità di spendere l’esperienza nel mondo professionale-lavorativo (16,5%), un terzo gruppo è identificato come “volontariato strumentale con interesse sociale” dove accanto ai motivi utilitaristici di carriera, vi sono consistenti motivazioni valoriali (15,5%) ed infine un gruppo identificato come “volontari a tempo perso” caratterizzati da un basso livello motivazionale nei confronti di tutte le motivazioni suddette (28,7%).
Le relazioni familiari e i modelli ivi appresi esercitano una grossa influenza nella decisione di intraprendere tale esperienza; una relazione familiare basata sull’apertura e sul dialogo unitamente all’incoraggiamento, non disgiunto dall’impegno sociale attivo da parte dei genitori e dall’attenzione alla cura verso gli altri, induce all’impegno nei confronti della comunità. Per favorire l’avvicinamento dei giovani al volontariato nei paesi anglosassoni sono stati sviluppati i service learning cioè programmi di partecipazione ad attività di volontariato. Nonostante i dubbi al riguardo di molti operatori i SL promuovono comunque il senso civico e l’impegno nella comunità.
L’età anziana
Tradizionalmente la narrazione sull’anziano lo vede solo, fragile, saggio ma lento, smemorato, debole, improduttivo ed inefficiente. Recenti indagini hanno ribaltato tale stereotipo; sempre più spesso gli anziani sono impegnati nel sociale, inseriti in reti di aiuto e quindi produttori di capitale sociale. L’esclusione sociale ferisce il funzionamento psicologico dell’anziano ed il volontariato, quindi, come abbiamo sopra visto, assolve a bisogni diversi nelle varie età della vita. Una distinzione va fatta tra attività ricreativo-culturali e attività solidaristiche; in particolare in quest’ultime la persona si sente nuovamente inserita in un circuito sociale, recuperando una funzione attiva, sostituendo in tal modo il riconoscimento, che prima derivava dall’impegno lavorativo.
Le ricerche hanno evidenziato il valore della ritrovata identità, derivata dalle azioni solidaristiche ed altruistiche, proprio quando vengono a cessare gli impegni lavorativi e della crescita dei figli.
Sono stati rilevati anche i positivi effetti sulla salute fisica e psicologica e perfino sugli indici di mortalità, ma è anche vero che si avvicina al volontariato, chi gode di buona salute. Il quesito è allora: “è il volontariato a favorire il benessere o è il benessere elemento indispensabile a favorire il volontariato?” Probabilmente ambedue le cose.
Volontariato e problematiche aperte
Nell’ampio contesto del tema volontariato è stata studiata la relazione con i molteplici aspetti con cui questa realtà si confronta, evidenziando alcune questioni aperte, che la ricerca sociologica avrà il compito di chiarire: Il sociologo Guglielmo Giumelli ha identificato le seguenti problematiche: Volontariato e organizzazione, Volontariato e motivazioni, Volontariato e adesione, Volontariato e attaccamento, Controllo e assenteismo, Adesione e revoca, Volontariato e professionalità, Reclutamento e selezione, Volontariato e lavoro, Volontariato e remunerazione, Volontariato e solidarietà, Volontariato e servizi.
Sarebbe troppo lungo riferire su ognuno di tali argomenti in questo breve articolo, rimandando perciò alla lettura del testo chi volesse approfondire i singoli temi.
Mi limiterò qui ad alcuni commenti sugli aspetti che mi sono parsi di maggior interesse.
Volontariato e organizzazione
In passato il volontariato era opera di singole persone, conventi, nobili o possidenti, che cercavano di soddisfare bisogni materiali nei confronti dei miseri. Ora i bisogni e anche i bisognosi sono cambiati. Sono i migranti, sono i “poveri vergognosi”, che in passato erano i nobili decaduti, mentre ora sono i ceti medi caduti in povertà, che hanno vergogna a mostrare la loro condizione.
Per Giumelli “Organizzazione” e “Associazione” non sono sinonimi intercambiabili. L’associazione è formata da persone che si uniscono per perseguire un obiettivo; essa non presuppone una struttura, vi è elevata libertà di azione dei soci. Quando poi l’associazione necessita di strumenti per raggiungere gli obiettivi nasce l’organizzazione, che utilizza risorse varie, materiali e umane; di conseguenza il volontario deve rispettare gli obiettivi e concorrere al loro raggiungimento ed è sottoposto ad un più stringente controllo organizzativo. I risultati vengono giudicati dall’ente pubblico (oltre che dai “Clienti”) e da qui deriva il rispetto o meno degli obiettivi statutari. L’organizzazione marca un certo avvicinamento alle organizzazioni profit sotto l‘aspetto delle competenze, performance ed efficienza organizzativa.
Volontariato e lavoro
Per Giumelli il volontariato è lavoro e il volontario è forza lavoro, se pur non remunerato. Il dissenso su tale assunto va ricercato nel fatto che nell’immaginario collettivo il lavoro è percepito come tempo determinato (orario di lavoro), in una fase della vita, in un determinato luogo anche non fisico, remunerato con denaro. È un’idea di lavoro consegnataci dalla civiltà industriale, che va sempre più perdendo centralità (orari flessibili, età lavorativa, smart working, modalità di remunerazione). Il volontariato organizzato ha compiti finalizzati, eroga servizi e prestazioni, impiega tempo-lavoro. Manca un vero obbligo contrattuale e una remunerazione monetaria. L’obbligo contrattuale è sostituito dall’impegno assunto con l’adesione alla mission. La remunerazione può essere simbolica, materiale, monetaria o non monetaria.
Il volontario non riceve mai una remunerazione monetaria ma la messa a disposizione del proprio tempo-lavoro non può essere considerata, secondo Giumelli, un dono in senso stretto, che per sua natura esclude l’avere. Se il dono è senza reciprocità genera gratitudine e crea dipendenza per il debito che non può essere onorato, donare equivale a dimostrare la propria superiorità, accettare equivale a subordinarsi. La reciprocità dovrebbe assumere valore, per non rafforzare le stesse situazioni di svantaggio che si vorrebbero attutire. Per incidere in questa asimmetria il mezzo sembra quello di far crescere e valorizzare le capacità dei destinatari, per far raggiugere loro l’obiettivo dell’autonomia.
Il volontario sfrutta i bisogni altrui per soddisfare i propri bisogni, tanto che si parla di un comportamento sociale altruistico-egoistico. I due mix non sono facilmente misurabili dato che la loro incidenza/proporzionalità è assolutamente soggettiva.
Volontariato e motivazioni
Perché si fa volontariato? Le ragioni possono riassumersi in alcune motivazioni, pur consci che ogni schematizzazione risulterà deficitaria per la innumerevole varietà di sfumature che le motivazioni personali sottendono.
Si parla dunque di altruismo come desiderio disinteressato di fare qualcosa per aiutare gli altri, di interesse come ricerca di un beneficio personale anche se non monetario, di socievolezza come mezzo per stare con gli altri e allargare la cerchia di conoscenze, di condivisione di obiettivi e della mission dell’organizzazione. Le motivazioni sono allo stesso tempo altruistiche (aiutare gli altri, essere utile, essere solidale, condividere le condizioni di debolezza socio economiche) ed egoistiche (esigenza personale, desiderio in generale, trovare amici, stare con gli altri, fare esperienze).
Un ultimo accenno a Volontariato e servizi.
È lo Stato che deve occuparsi in primis dell’assistenza verso i più deboli tramite le risorse pubbliche. Il finanziamento pubblico presuppone a monte un prelievo fiscale, che, tramite la redistribuzione, sfocia in solidarietà e corresponsabilizzazione sociale, derivando ciò da un obbligo normativo fiscale. In tale forma non si può non sottolineare la distanza tra l’identità del cittadino che paga le tasse e quello che tramite il Welfare usufruisce dei servizi.
Il prelievo fiscale, quindi, diventa origine e base della solidarietà fiscale, ma considerare il prelievo fiscale come sostituto della solidarietà fiscale significa identificarlo non come un obbligo sancito dal patto sociale democraticamente approvato, bensì come dovere morale derivante dalla propria coscienza personale, che quindi può essere rispettato o no. In base a tale considerazione qualcuno potrebbe convincersi che la solidarietà fiscale possa venir sostituita da una solidarietà oblativa e privata o dal volontariato o da una donazione; il principio dell’altruismo e della solidarietà potrebbe così furbescamente sostituirsi al principio della redistribuzione.
Di fatto un numero sempre maggiore di prestazioni socio-assistenziali sono affidate a organizzazioni di volontariato. Aumentano e si diversificano i bisogni socio-assistenziali che l’attuale Welfare ha difficoltà a soddisfare. La frattura tra bisogni da soddisfare e risorse umane e materiali a disposizione sarà sempre maggiore creando vuoti, che solo parzialmente possono essere colmati dal volontariato, poiché richiedono modalità e strumentazioni diverse dal passato, tenendo comunque presente che l’attività di volontariato non può sostituire il compito dello Stato. È stato osservato che, anche in caso di completezza assoluta del Welfare state, la presenza del volontario sarebbe comunque necessaria per due ordini di fattori: il primo è il “desiderio di aiutare”, insito nella natura umana, desiderio che le risorse pubbliche finanziarie ed umane non potrebbero eliminare; il secondo, che anche una consistente allocazione di risorse non potrebbe dare risposta ai bisogni socio-assistenziali che comportano la disponibilità umana, cioè la relazionalità.
Bibliografia
Elena Marta, Maura Pozzi (2007) Psicologia del volontariato, Carocci, Roma
Guglielmo Giumelli (2016) Dentro il volontariato, il melangolo, Genova